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Le vie d'acqua

« Le case altissime, dalle facciate tinte di un intonaco biondo, dove il rosa e il verde si confondono, splendono al sole con riflessi d'oro e di verderame, come l'acqua dei canali sparsa di chiazze d'olio.

Le persiane hanno il colore delle foglie secche, son pallide e polverose. Un senso di nobiltà un po' stanca, di libertà popolaresca, è nell'architettura aperta e liscia di queste case, le più belle del Mediterraneo. »

 

 

Il Pontino: 

Fortezza Nuova

L'espansione della città di Livorno alla fine del '500 richiese un nuovo progetto delle mura e delle fortezze.

Fu giovanni de Medici a volere la fortezza nuova , a cui lavorarono molti architetti dell'epoca tra cui Buontalenti., Cantagallina, Bonanni.

La prima pietra fu posata il 10 gennaio del 1590 e ilavori di costruzione si potrassero per un decennio. All'imponente foritficazione di mattoni rossi si accede da un piccolo ponte sugli scali della fortezza.

Entrando, sulla sinistra si incontra un ambiente coperto con volte a crociera.

In fondo al corridoio coperto c'è la rampa che immete nel terrapieno: Qui si trovano altri ambienti allora destinati alle truppe.

Chiesa di Santa Caterina

La chiesa di Santa caterina presenta un originale pianta centrale mutata dai modelli rinascimentali del Bramante e del Brunelleschi.

La Fortezza Vecchia

Sin da epoche remote la zona della Fortezza Vecchia fu interessata da numerosi insediamenti, dei quali ancor oggi restano alcune testimonianze, quali ad esempio i resti di un abitato di capanne risalenti al passaggio tra l'Età del bronzo e l'Età del ferro, al di sopra dei quali si trova uno strato di reperti di epoca etrusca e romana.[1]
In età medioevale il nucleo originario della fortezza era costituito da una torre quadrata posta ai margini di Porto Pisano, il grande scalo portuale che si estendeva tra Pisa e l'allora villaggio labronico. Tale manufatto, sia pure sbassato nella sua altezza è ancora visibile. Successivamente, a breve distanza dalla prima, fu innalzata una seconda torre a pianta circolare, che la tradizione vuole costruita per volontà di Matilde di Canossa, pur senza effettivi riscontri storici. Dopo la seconda metà del Trecento le due torri furono unite da una cinta muraria voluta dalla Repubblica di Pisa, la cosiddetta "Quadratura dei Pisani" (o "Rocca Nuova"), probabilmente in sostituzione di una precedente palizzata lignea.

I 4 Mori - Darsena Vecchia

Sul finire del XVI secolo, per volontà di Francesco I de' Medici furono avviati i primi lavori per la realizzazione della nuova città fortificata di Livorno, secondo il progetto dell'architetto Bernardo Buontalenti; tuttavia fu Ferdinando I, salito al potere nel 1587, a dare maggior impulso al colossale cantiere, tanto da essere considerato il vero fondatore della città.[1]
Per celebrare questa impresa ed i trionfi riportati contro i corsari barbareschi dall'Ordine dei cavalieri di Santo Stefano, Ferdinando fece erigere un monumento in suo onore. La statua del granduca fu commissionata allo scultore Giovanni Bandini, che la realizzò a Carrara a partire dal 1595, per essere quindi trasportata per mare a Livorno nel 1601. Tuttavia l'imponente monumento restò ai margini della piazza della darsena per ben 16 anni, fino al 1617, quando fu innalzato su un piedistallo alla presenza di Cosimo II de' Medici, succeduto al padre Ferdinando nel 1609.
Successivamente, nel 1621 fu dato incarico a Pietro Tacca di completare l'opera di Bandini con l'aggiunta, alla base del piedistallo, di quattro mori incatenati, che lo scultore portò a termine in più riprese, tra il 1623 ed il 1626. Un allievo del Tacca, Taddeo di Michele, eseguì un gruppo di trofei barbareschi che furono collocati intorno alla statua di Ferdinando: il monumento avrebbe dovuto essere completato da due fontane con mostri marini, realizzate dal Tacca intorno agli anni trenta del Seicento, che però non giunsero mai a Livorno, ma furono poste in piazza della Santissima Annunziata a Firenze.[2]
Il monumento dei Quattro Mori rischiò tuttavia di essere distrutto durante l'invasione francese di Livorno, nel marzo del 1799; l'esercito transalpino, apparentemente animato da ideali di libertà e uguaglianza sociale, vedeva nei mori incatenati un simbolo di oppressione e tirannide. Ciò nonostante l'opera riuscì ad essere salvata, ma i soldati francesi la depredarono dei trofei barbareschi.[3]
Nell'Ottocento, tramontata l'ipotesi di trasferire il gruppo scultoreo in piazza Grande, il monumento fu solamente arretrato al centro della piazza antistante la darsena del porto. Un'altra proposta per il suo trasferimento si registra negli anni che precedono la seconda guerra mondiale, quando viene avanzata l'idea di collocarlo al centro della piazza delle adunate che sarebbe dovuta sorgere attorno al nuovo Palazzo del Governo. Lo scoppio della guerra portò alla sospensione di ogni piano, mentre, per salvare il monumento dai bombardamenti, fu deciso di trasferire la statua di Ferdinando I nella Certosa di Calci, mentre i Quattro mori furono dapprima sistemati al Cisternino di Pian di Rota e successivamente nella Villa medicea di Poggio a Caiano.
Nel giugno 1950, a seguito di accurati restauri, le opere tornarono a Livorno e furono ricollocate al loro posto, ai margini di una città ancora devastata dai bombardamenti.

L'area in cui fu realizzata la piazza in origine era il baluardo meridionale della città fortificata progettata da Bernardo Buontalenti. Il sistema difensivo era completamente circondato da un fossato che seguiva un andamento pentagonale, i cui vertici erano posti in corrispondenza degli stessi baluardi.
Nel 1827 fu autorizzata la vendita dei terreni su cui sorgevano le antiche fortificazioni, nel tratto compreso tra la chiesa di San Benedetto e Borgo Cappuccini; a Luigi de Cambray Digny fu affidato il compito di progettare un collegamento tra la città buontalentiana e i nuovi sobborghi esterni al Fosso Reale, ai quali fu dato il nome di "Città Leopolda".


Palazzo Gragnani
I disegni, presentati nel 1828, prevedevano l'apertura di una nuova porta presso il cosiddetto Bastione del Casone, in asse con l'abside del Duomo; il piano definiva anche la realizzazione di una piazza esterna al suddetto varco, dove si inserivano una serie di assi stradali regolari e simmetrici. [1] Il progetto di Cambray Digny fu messo in atto rapidamente e, a coronamento del nuovo quartiere, fu innalzata la chiesa dei Santi Pietro e Paolo, posta in una posizione quasi speculare rispetto a quella di San Benedetto.
I palazzi[modifica | modifica sorgente]
Su iniziativa privata sorsero quindi numerosi palazzi, tra i quali occorre citare il Palazzo Uzielli (nei pressi della piazza), il Palazzo Santoponte ed il Palazzo Gragnani. Il primo fu progettato da Riccardo Calocchieri lungo l'attuale via dell'Indipendenza ed è caratterizzato da due torrette belvedere disposte simmetricamente ai margini del piano di copertura. La costruzione di Palazzo Santoponte interessò invece un lotto lungo la nuova piazza ed i lavori furono affidati a Giovan Battista Picchianti, autore di diverse fabbriche per il nuovo quartiere: l'edificio, non si discostandosi dal linguaggio architettonico delle altre costruzioni avviate nella "Città Leopolda", è definito da un basamento in bugnato oltre il quale, in corrispondenza dell'ingresso principale, si apre un piccolo balcone.
Un caso particolare è invece rappresentato dal Palazzo Gragnani, edificato dopo il 1837 sul lato orientale della piazza: il piano terra viene trattato mediante un rivestimento in bozze, mentre, ai piani superiori, le finestre sono inquadrate all'interno di un sistema architravato con colonne binate che riprende il tema della sovrapposizione degli ordini classici. L'edificio, rivestito in laterizio, è inoltre sormontato da una torretta ottagonale, un tempo utilizzata come piccionaia. [2]

Piazza Cavour 

Chiesa degli Olandesi

Il tempio della Congregazione Olandese Alemanna, conosciuto più semplicemente anche come chiesa degli Olandesi, è ubicato a Livorno, lungo il Fosso Reale, nel tratto compreso tra piazza della Repubblica e piazza Cavour.
Si tratta di un luogo di culto protestante, testimonianza del clima interculturale dell'antica città labronica; è anche una rara espressione di architettura neogotica a Livorno, ovvero di uno stile che, sino all'epoca della costruzione della chiesa, era stato destinato alle opere minori e all'arredamento. Tuttavia, dalla seconda metà del Novecento la chiesa è chiusa al pubblico e sostanzialmente abbandonata, tanto che richiederebbe importanti lavori di restauro.[1] Il rischio di un disastroso crollo dell'edificio è stato sottolineato già nel 2005 dal vice presidente del concistoro della Congregazione, Ennio Weatherford.[2]

Mercato Centrale 

In Italia, gli anni postunitari furono caratterizzati da una campagna per la riorganizzazione dei servizi che investì anche Livorno. Qui, dopo una prima riconversione di edifici acquisiti nel patrimonio demaniale, un impegno più consistente si ebbe solo sul finire dell'Ottocento, quando, grazie alla spinta del sindaco Nicola Costella, furono realizzate importati opere pubbliche: tra queste, la più imponente ed impegnativa risultò certamente essere il Mercato delle vettovaglie, progettato da Angiolo Badaloni.
L'area prescelta per la costruzione si inseriva in pieno centro cittadino, lungo il Fosso Reale, nell'area un tempo occupata dal complesso sistema fortificato mediceo e successivamente da un'arena per spettacoli diurni. I lavori iniziarono nel 1889-1890 e si conclusero rapidamente nel 1894; all'epoca tuttavia non mancarono critiche legate alla vastità e al costo (circa 4 milioni di Lire) dell'opera. [1]
Giova ricordare che, secondo i racconti del pittore livornese Filippelli, intorno al 1909 il celebre Amedeo Modigliani ritornando da Parigi prese in affitto uno stanzone nei piani alti della costruzione del Mercato delle vettovaglie, angolo via Gherardo del Testa, e portandosi delle pietre si mise a fare scultura, realizzando alcune teste. Al suo ritorno in Francia, si racconta che queste opere siano state gettate nel Fosso Reale; fosso che, nel 1984, fu teatro del famoso ritrovamento di alcune teste fasulle, realizzate da alcuni giovani livornesi.


Salone principale
Descrizione[modifica | modifica sorgente]

La facciata principale, larga ben 95 metri, è caratterizzata da due ordini di finestroni a tutto sesto che garantiscono la massima luminosità all'edificio, mentre l'ingresso è sottolineato da quattro colonne che sostengono una marcata trabeazione. I prospetti minori e quello posteriore invece presentano una semplificazione dell'apparato decorativo, pur riproponendo il tema delle grandi aperture finestrate.
L'interno è costituito principalmente da un ampio salone e da alcuni padiglioni minori posti sul retro, lungo la via Buontalenti. Il salone principale, impreziosito da alcune cariatidi realizzate da Lorenzo Gori, è coperto da un leggero lucernario, eseguito dalla ditta Gambaro e ripristinato nel dopoguerra a seguito dei danni subiti durante i bombardamenti del 1943: numerose capriate metalliche, dal disegno floreale, scandiscono la tettoia posta a circa 35 metri d'altezza rispetto al suolo. Le due vaste sale annesse furono adibite una per il pesce, lunga 45 m e larga 11,50 ove vi erano 22 banchi di marmo e 10 botteghe, e l'altra per la vendita degli ortaggi, uova e pollame con 12 botteghe. Tutto l'edificio è circondato sopra le botteghe da locali alti 6 metri ed è arieggiato da grandi finestre con persiane. La struttura dispone oggi di 200 banchi e di ampi magazzini interrati, con 92 cantine, comunicanti direttamente con l'antistante Fosso Reale e raccordati al piano stradale mediante comode rampe.

Piazza della Repubblica

La costruzione di una piazza che congiungesse insieme la città fortificata del Buontalenti e i nuovi sobborghi, che si estendevano oltre il Fosso Reale, risale alla prima metà del XIX secolo, quando Luigi Bettarini e Mario Chietti approntarono in proposito due progetti distinti.
Entrambi prevedevano la realizzazione di una imponente volta sul Fosso Reale, con una piazza ovale posta perpendicolarmente all'asse dell'allora via Ferdinanda (attuale via Grande). I due progetti differivano però nelle dimensioni trasversali che avrebbe dovuto assumere la piazza: Bettarini proponeva un impianto più raccolto, lasciando più aree a disposizione per la costruzione di nuovi palazzi, mentre Chietti portava il limite dell'ovale sino quasi alla facciata del Cisternino di città, il serbatoio progettato da Poccianti nel 1827 al termine dell'Acquedotto Leopoldino. Inoltre, un primo progetto del Bettarini, che tuttavia non ebbe alcun seguito, prevedeva la formazione di una piazza delimitata da un duplice filare di alberi, che rimandava alla configurazione dell'area antistante alla chiesa di San Benedetto (attuale piazza XX settembre).


Piazza della Repubblica
Scartate le ipotesi della piazza alberata e quella definita dal piano Chietti, la scelta ricadde sul disegno di Bettarini, autore anche del disegno per la rettifica del Fosso Reale, con la distruzione dei bastioni medicei.
Così, intorno al 1840 il Fosso Reale fu convogliato in una galleria lunga oltre 220 metri, che al livello del piano stradale determinò la formazione di una vasta piazza, con una piattaforma centrale di forma ellisoidale circondata da lampioni, panchine in marmo e colonnine per la sosta dei cavalli[2]; qui, per volontà della Comunità, furono innalzate le statue dei granduchi lorenesi Ferdinando III e di Leopoldo II, eseguite rispettivamente da Francesco Pozzi e Paolo Emilio Demi.[3]
Successivamente, durante i moti risorgimentali del 1849, la statua del Demi fu abbattuta tra lo sconforto dello scultore e sostituita con quella realizzata, nel 1855, da Emilio Santarelli; l'opera di Paolo Emilio Demi, rimossa dal suo piedistallo e abbandonata per circa un secolo, è stata collocata al centro di piazza XX settembre solo negli anni cinquanta del Novecento.[4]

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